A CAVALLO DEI DUE MONDI
L’equitazione negli USA raccontata da Mauro Atzeri
di Susanna Cottica
Mauro Atzeri è un cavaliere italiano, tecnico e formatore di giovani cavalli e cavalieri. Amato e apprezzato in Italia e negli Stati Uniti, dove ha vissuto per trent’anni, per la calma e la pazienza, la progressione e la meticolosità del suo metodo, Mauro Atzeri, classe 1963, è un uomo di cavalli con un occhio straordinario e l’innata capacità di entrare in connessione con i cavalli.
Mauro è cresciuto a cavallo dei due mondi: quello italiano dei tempi d’oro, dove è nato e si è formato, e quello americano dove ha affinato la sua equitazione e costruito la sua carriera.
Mauro ha iniziato a montare da piccolo sotto la guida del padre, mettendosi in evidenza nel salto ostacoli per le sue qualità sin dall’inizio con ottimi risultati, vincendo numerosi Gran Premi nella sua carriera agonistica in Italia. Da qui inizia la sua storia, che è lui stesso a raccontarci. Una storia da conoscere per comprendere ‘i due mondi’.
I Pratoni del Vivaro e Raimondo d’Inzeo
«La mia storia è iniziata negli anni ’80 ai Pratoni del Vivaro sotto la guida di Raimondo d’Inzeo dove sono rimasto per sei anni come cavaliere federale.
Poi mi sono trasferito a Parma all’Allevamento San Michele di Giuseppe Rolli dove sono entrato in contatto con un mondo completamente diverso, così come diverso era l’approccio ai cavalli perché mi trovavo in una grande scuderia di commercio che collaborava con una delle più importanti scuderie d’Europa, quella di Paul Schokemöhle in Germania.
Era lì che si raggruppava tutta la squadra tedesca, con Ludger Beerbaum, Otto Becker, Franke Sloothaak. Rolli importava i cavalli in Italia che poi venivano rivenduti. Nei cinque anni in cui sono rimasto a Parma ho avuto l’opportunità di montare cavalli importanti.
Nel 1989 la mia vita è cambiata. In quell’anno a Piazza di Siena ho incontrato Joe Fargis e la contessa Meneghetti che, a causa del mio inglese stentato, mi fece da tramite con Joe per farmi andare in America a fare un’esperienza di lavoro.
Desideravo molto andare in America, avevo visto la squadra statunitense alle Olimpiadi del 1984 ed ero molto affascinato dal loro modo di montare a cavallo, dall’ordine, dall’organizzazione, dall’approccio all’equitazione, molto leggera, semplice, in avanti, tutto quello che oggi ritroviamo nell’equitazione di alto livello.
Mi impressionava tutto questo perché in Italia stava avvenendo il contrario, c’erano una serie di influenze straniere che allontanavano dall’equitazione di Raimondo d’Inzeo, quell’equitazione che gli Stati Uniti invece stavano portando avanti.
Così sono partito per gli Stati Uniti dove avrei dovuto rimanere per sei mesi e invece sono rimasto trent’anni. Ero nella scuderia più importante degli Stati Uniti all’epoca, perché c’erano Joe Fargis, Conrad Homfeld, George Morris, William Steinkraus grandissimi campioni e professionisti che erano stati formati da Bertelan de Nemethy che ha creato e impostato l’equitazione americana come la vediamo adesso. De Nemethy aveva formato a Gladstone, centro federale di equitazione americano, un gruppo di professionisti che lavoravano con lui tutti i giorni, dando così un’impostazione ben precisa all’equitazione americana.
Questi professionisti a loro volta hanno formato allievi che sono poi diventati grandi campioni diffondendo il sistema americano.
Tutti i grandi cavalieri americani si sono formati da questo ufficiale di cavalleria ungherese al quale nel 1955 era stata affidata l’intera squadra americana del salto ostacoli. Bert è stato il ‘Coach of the United States Equestrian Team’ dal 1955 al 1980. Nei cinque anni trascorsi nella Scuderia di Joe Fargis ho lavorato per vari clienti, tra cui i proprietari di Touch Of Class, sempre affiancato da Fargis e Homfeld. Successivamente ho deciso di mettermi in proprio, facendo base d’inverno a Wellington e in estate ad Atlanta nella scuderia della Signora Fuller dove a tutt’oggi ci sono i miei cavalli ritirati in pensione.
Con l’America continuo ad avere uno stretto contatto di collaborazione, spesso viaggio negli States. Adesso la mia base è in Italia nello splendido Salento dove vivo con la mia compagna Michela ed i nostri amati cavalli e cani». Mauro Atzeri

L’INTERVISTA
Il Sistema Naturale di Equitazione di Caprilli si è diffuso in tutto il mondo. Tu hai visto il riflesso della scuola caprilliana nel metodo di de Nemethy?
Certo, l’influenza è stata molto forte. A un certo punto gli Stati Uniti hanno iniziato a inviare i cavalieri militari in giro per l’Europa, in Italia a Pinerolo, in Francia a Saumur, in Germania… per poi riportare negli Stati Uniti tutte le esperienze fatte e ‘selezionare’ ciò che poteva essere corretto per i loro cavalli; teniamo conto che negli Stati Uniti fino agli anni ottanta venivano impiegati nel salto ostacoli, completo e dressage solo purosangue, nello specifico quelli scartati dalle corse.
Cavalli molto insanguati e fini che questi cavalieri hanno portato ai massimi livelli del salto ostacoli, come per esempio Snowbound, il purosangue che vinse l’oro olimpico individuale nel 1968 in Messico con William Steinkraus e Touch of class con Joe Fargis doppio oro olimpico a Los Angeles nel 1984.
Gli americani hanno quindi importato il sistema italiano e francese dove si montava in avanti, nel movimento del cavallo con un approccio leggero, per cavalli ultrasensibili applicandolo nell’addestramento dei purosangue da corsa! Ecco il perché di questa equitazione.
Nel 1984, poi, in America hanno iniziato a importare cavalli dall’Europa. Il primo è stato Calypso, grandissimo campione con Melanie Smith. In quegli anni i cavalieri tedeschi, svedesi, svizzeri hanno assorbito il sistema americano.
Ad avere avuto grande influenza nell’equitazione moderna nei paesi europei è stato George Morris. Lo sport ha continuato ad andare esattamente in quella direzione: oggi bisogna galoppare su percorsi tecnici e ostacoli leggeri; i cavalli devono essere leggeri, sensibili, agili.
L’equitazione moderna che viene da oltre oceano.

Noi siamo stati i precursori della moderna equitazione. Cosa è successo in Italia dove i principi di questa equitazione sono stati abbandonati?
Negli Stati Uniti la formazione si fonda sempre e fermamente sui principi classici che vediamo ben rappresentati nelle categorie di Equitation che negli Stati Uniti sono ben codificate. Classico non vuol dire vecchio, vuol dire un’equitazione codificata con principi di leggerezza.
Vuol dire un’impostazione uguale per tutti. Tutti i migliori cavalieri e amazzoni come Beezie Madden, Laura Kraut, Jessica Springsteen, si sono formati nelle categorie di Equitation.
Morris, Homfeld, Katie Monan hanno fatto finali di Equitation. Ancora oggi si parte da queste basi. Tutti i paesi europei hanno attinto dai principi classici e si sono evoluti, in Italia invece siamo andati al contrario. Abbiamo iniziato a ‘importare’ persone che non avevano nulla a che fare con la nostra eredità dei grandi maestri, come i d’Inzeo. Invece di insegnare la nostra equitazione ai giovani, abbiamo iniziato a fare arrivare tecnici dal nord Europa con una mentalità completamente differente creando confusione.
Si è creata una confusione che perdura ancora oggi. Affacciandosi a un campo prova non si vede un cavaliere montare allo stesso modo di un altro, ognuno fa per sé senza un sistema codificato, senza principi di una formazione di riferimento.
C’è una differenza enorme di impostazione. Noi eravamo gli artefici della buona equitazione, gli altri paesi si sono evoluti sulle nostre basi classiche e noi invece ci siamo persi.
Come è di norma la gestione dei cavalli negli Stati Uniti?
Quando sono arrivato in America, noi in Italia eravamo molto restii a consentire movimento in libertà ai cavalli e spesso non avevamo nemmeno i paddock. Non c’era la mentalità, sebbene Raimondo d’Inzeo ci tenesse tantissimo che i cavalli stessero fuori il più possibile.
Quando sono arrivato in America ho visto i cavalli tutti in paddock, stavano fuori almeno mezza giornata. Lavoravano poi tornavano in paddock, addirittura molti stavano anche la notte in paddock con le capannine.
Inoltre a quei tempi, oggi con gli impegni agonistici sarebbe impensabile, dopo i concorsi indoor, che erano due Washington e New York, Joe Fargis sferrava i cavalli e li lasciava a prato per due mesi.
Poi spostava i cavalli in Florida senza ferri e ricominciava a lavorare rimettendoli in condizione con calma, impiegava settimane. Quando ricominciavano a fare i primi saltini gli rimetteva i ferri.
Così gli allungava la carriera sportiva gestendo al meglio sia il fisico sia la mente. Uomini di cavalli saggi, vincenti e rispettosi.
Quale è l’insegnamento più importante che hai ricevuto in questi trent’anni?
In questi trent’anni ho imparato a capire il senso degli sport equestri. Come possiamo giustificare tutto quello che facciamo con i cavalli e perché lo facciamo?
L’unico modo per giustificare l’utilizzo dei cavalli è fare in modo che abbiano una vita il più possibile vicina alla loro natura. Aria aperta, prato, fieno buono, stare fuori dai box il più possibile, brucare, passeggiare, muoversi come in natura.
Questo è il punto di partenza. In secondo luogo servirebbe unirsi, tutta la gente di cavalli che desidera mantenere questo sport in maniera limpida, dovrebbe fare fronte comune per imporre delle regole di rispetto dei cavalli: definire il numero dei concorsi che i cavalli fanno, limitare i continui viaggi estenuanti, imporre regole per i cavalli giovani per rispettarli e tanto altro ancora.
Oggi vige la regola della social license ‘bisogna essere accettati dalla società’ ma se mettiamo sempre i soldi davanti a tutto abbiamo già perso in partenza. Dobbiamo mettere i cavalli davanti a tutto per poter dare un’impostazione allo sport che li tuteli il più possibile.
Vita da cavalli ed educazione equestre in sella: quell’educazione e cultura che avevamo un tempo ma che abbiamo perduto negli anni.
Questo è il messaggio che vorrei trasmettere.

Photo Credits Archivio Cavalli & Cavalieri, Bob Langrish