di Mauro Checcoli
Quando arrivai nelle mani e sotto le cure del mio grande Maestro Fabio Mangilli, avevo diciotto anni ed ero pieno di entusiasmo. Avevo alle spalle anni di atletica e di pallacanestro ed ero convinto di essere pronto, di sapere tante cose… a cavallo avevo già fatto molte gare, con tanti cavalli diversi. Anche percorsi importanti, con avversari importanti come i mitici D’Inzeo, Mancinelli, Oppes, Giulia Serventi, Capuzzo, tanti Ufficiali…
Insomma, mi ritenevo già avanti! Risultato?
Una delle prime volte che mi vide in sella, Mangilli mi disse che non sapevo trottare!! Come a un principiante!! Lì per lì mi risentii, ma poi puntuali arrivarono le motivazioni razionali, scientifiche, della sua affermazione, indispensabili per galoppare e saltare velocemente.
Mi insegnò ad essere ‘dentro’ al cavallo, profondamente inforcato, con il peso sulle staffe, mai sulle natiche; mi obbligò a spingere in basso i talloni, sbloccando le caviglie e i polpacci; mi insegnò a sentirmi e mettermi in contatto con talloni e polpacci con i fianchi del cavallo; mi costrinse a pensarmi una parte di lui; mi pregò di non usare mai la forza o i muscoli, per ottenere una piena adesione; mi spiegò che i cavalli percepiscono e capiscono ogni più piccolo nostro movimento che esprime le nostre intenzioni; che loro non aspettano altro che i nostri segnali, da bravi compagni di sport…
Insomma, cominciai a capire qualcosa di equitazione!
Poi seguirono gli esercizi, i test per verificare se avevamo capito: salti al trotto e con le mani ai fianchi; piccoli salti dal passo (esercizio che vidi poi fare con De Nemethy da parte dei campioni U.S.A., Kusner, Steinkraus, Morris, ecc.); ore a cavallo senza sella.
Alla fine avevo capito che a cavallo ci si va con la mente sempre attiva e non con i muscoli.
Avevo capito che per vincere si deve essere veloci, i più veloci!
E che per essere veloci non si deve mai intervenire sulla bocca con la forza, perché ogni intervento è una perdita di quei pochi centesimi che danno (o tolgono) la vittoria.
Tuttavia, in più, ci sono dei momenti, in ogni percorso di salto o di cross, in cui si deve intervenire, non per tirare indietro, ma per dare energia, coraggio, per aiutare nello sforzo e nella decisione nell’affrontare una nuova difficoltà. Occorre ‘dare le gambe’ come si dice in gergo. ‘Dare le gambe’ è molto importante, può essere decisivo e mi è capitato spesso, per fortuna con successo.
Ecco cosa mi aveva insegnato Mangilli, con pazienza, dopo aver osservato un mio maldestro tentativo in una gara sbagliata.
Per ‘dare le gambe’, come si dice, per istinto noi ci sediamo indietro sulla sella e cominciamo ad esercitare una pressione alzando i talloni come per afferrare le staffe ed agitando le gambe e, spesso, anche le mani: è il nostro retaggio che agisce! Con questi gesti, noi comunichiamo al cavallo che cosa?
‘Dai, vai avanti tu che poi ti seguo…’
Non è un grande aiuto, certamente! Agiamo come quel Generale che dice ai suoi soldati. ‘Armiamoci… e partite!’ Alla fine risulta un gesto di insicurezza che noi gli diamo, controproducente.
Il modo giusto di ‘dare le gambe’ è un altro: dobbiamo spostare più avanti il bacino (e quindi il baricentro), anche avvicinandoci al pomo della sella; affondare ancora di più le ginocchia e i talloni ed attivare i talloni per toccare il cavallo dall’avanti all’indietro senza alzarli; nel contempo non muovere le mani, conservando il contatto con la bocca, continuando a tenere la direzione voluta.
Cosa significa questa azione? Dice al cavallo: ‘Siamo in difficoltà, però io vado avanti, di là dall’ostacolo: vieni con me, seguimi!’.
Come vedete, la differenza è enorme! Funziona, anche.
-
Luglio/Agosto 2022- Formato Cartace13,90€
-
Luglio/Agosto 2022 – FORMATO DIGITALE3,50€
-
Abbonamento Digitale Cavalli & Cavalieri0,00€ / anno
-
Abbonamento Cartaceo Cavalli & Cavalieri15,00€ / anno